post-it da listowel/2: le storie

«Sono sopravvissuta a un omicidio». La dice così, lei. Non pronuncia la parola «tentativo»; non realizza che senza quella parola la sua frase è impossibile.
Ha scritto un memoir.
I memoir qui sono una cosa seria, molto diffusa.
La gente ha voglia di raccontare la sua storia.

Glielo pubblicheranno, dice.
«Secondo te i giornalisti mi faranno a pezzi?», mi chiede.
No, non credo.
Se sopravvivi a un tentativo di omicidio sopportando che la tua faccia venga ritratta – gigante – sulle prime pagine dei giornali accanto a quella della persona che ha attentato alla tua vita, e poi ne scrivi un libro, be’, io penso che ci siano ampi margini perché a dominare la situazione sia tu, e non i giornalisti.

Lei è una donna che ho conosciuto qui, a Listowel, alla Writers’ Week.
Le storie delle persone sono incredibili.
Sono il senso della vita.

Al workshop, molti dei partecipanti hanno scritto storie che riguardavano la loro famiglia, il loro passato.
È incredibile quanto siano ricorrenti i temi: la povertà, i figli in quantità, la terra, l’alcolismo, la morte di qualcuno di caro.
Ascoltare queste storie è come stare intorno a un focolare grandissimo.

Mio nonno raccontava tantissime storie, a pranzo, d’estate.
Ci alzavamo da tavola tardissimo, perché ci doveva spiegare di quando era partito a sedici anni per l’Argentina, di quel che aveva visto, «e allora Tizio disse, ma io gli risposi, e poi accadde che».

Sono felice che mio figlio mi chieda di raccontargli le storie della mia vita con un’insistenza che a volte mi ha inquietato.

Alla fine del workshop, sotto la pioggia, Carlo Gébler mi ha fermato.
Mi ha fatto un sacco di domande.
La mia storia.
Mio padre, mia madre, mio fratello, «hai rabbia, dentro?», «hai fatto analisi?», «dove sogni di vivere?», «i tuoi nonni?».
Sono rimasta sconcertata dall’interesse, dall’attenzione, dai consigli.

«Go on», mi ha detto. «Go on and see what happens».
E un mucchio di altre cose, mi ha detto.
Ma le scrivo solo se si avverano.

Non so.
Questo posto è magico.
Ogni volta, ogni volta mi sorprende per quanto mi dice, per come mi ascolta, per come apre i pori della mia pelle, per quanto calcare riesce a togliere dai tubi in cui scorrono la fiducia in me stessa, l’entusiasmo, la gioia di vivere, la voglia di scrivere, di comunicare, di dire.

Ho un sacco di cose da raccontare.
È incredibile che io non abbia neanche il tempo per farlo.

Ah. Ho sentito il reading di Anne Enright.
Bravissima, ilare, intelligente, profonda.
Ma c’è qualcosa che non capisco. Qualcosa che non mi torna.

E poi dirò anche di Germaine Greer, femminista storica che ho incontrato per caso a un tavolo, e più tardi andrò a sentire.

Devo scappare per il prossimo reading.
Musica irlandese nelle orecchie, The Outside Track, «The Jubilant Goat».
Ora devo togliere la cuffia.
Devo andare.