«nonnina» un corno


Nonnina. Nonna.
La tridimensionalità di una persona che per ragioni di età si suppone definitivamente privata della dimensione della sua sessualità viene appiattita con grande leggerezza in definizioni che la riducono a parte per il tutto.

Non è sufficiente dirne l’età: bisogna anche sottolineare che, come se non bastasse, a quell’età è destinato lo slot inoffensivo della «nonna», o – peggio ancora – della «nonnina».
Non faccio sesso, non vedo uomini, ho perso qualunque altra caratteristica relativa al mio genere: l’unica cosa che mi resta di femminile è la finale in «a».

In «nonna» e «nonnina» c’è un paternalismo che a me dà enorme fastidio.
C’è l’idea che chi scrive si senta giovane e sessuato, che il mondo sia abitato da persone giovani e sessuate; c’è l’idea che io che scrivo posso, e tu – persona di cui io scrivo – non puoi più.

La cosa più fastidiosa è che chi scrive «nonnina» e «nonnino» pensa di essere tenero e gentile; di dare una pacca complice sulla spalla; di essere uomo, o donna, di mondo.

Eppure, nessuno scrive che una «donnetta» o un «omino» hanno messo in fuga un ladro.
Certe libertà ce le prendiamo solo con i vecchi, e con coloro che immaginiamo debbano esserci grati per il semplice fatto che, scrivendo di loro, li rendiamo «personaggi» per un giorno.

Pensiamo di poter cambiare la loro vita regalando loro la celebrità al prezzo della dignità. Noi possiamo. Noi siamo dei. Noi siamo giornalisti.