stella (polare) dell’antimeridionalismo

Invito a leggere il pezzo di Stella sul Corriere.
È un capolavoro.
Prende un punteruolo avvelenato, lui, e lo piazza direttamente alla gola del pitbull per spingerlo ad azzannare quelli l’odore (il lezzo, per lui) dei cui abiti gli ha fatto annusare.

e il modo ancor m’offende

Preliminarmente, andrà detto che non ho alcuna obiezione – non potrei averne, perché non ho fatto alcuna verifica, e dunque prendo per buono ciò che dice lui – sulla veridicità dei fatti che racconta, e che sono assolutamente, perfettamente, completamente, totalmente d’accordo con lui che la situazione dovrebbe proprio andar cambiata.
Ma sono sicura che per dire queste cose ci sia modo e modo.
E Stella – a mio personalissimo e opinabile giudizio – ha scelto quello sbagliato.

gli sfollati come i forrester della soap opera

Leggiamo.
Innanzitutto il titolo.
Che sia suo o no, non importa: è del tutto in tono col pezzo.
Il titolo è «La vita dorata dei falsi sfollati negli alberghi di Napoli».

che imp(r)udenza

Ripeto: sono completamente convinta anch’io che chi non ha uno specifico diritto (i «falsi» sfollati) dovrebbe non essere ammesso al «beneficio» – chiamiamolo così – di accedere a un albergo.
Ma definire «dorata» la vita di chi abita in un albergo che non sia il Ritz, o almeno un quattro stelle superiore, mi pare di un’impudenza assoluta.

forse a stella piace vivere in un «brutto albergo»

Dall’uso dell’aggettivo posso solo dedurre che forse a Stella piacerebbe vivere – in quanto sistemazione «dorata», appunto – in (lo scrive lui poche righe più sotto; non io) «un brutto albergo a due stelle».

sfollati da «edifici fatiscenti»

Leggiamo ancora.
«Stando ai calcoli fatti da Alleanza nazionale, l’ospitalità generosamente offerta alle famiglie fatte sgomberare nel dicembre 2002 da tre edifici fatiscenti di vico Longo a Carbonara, nella zona più degradata dalle parti di piazza Mercato, sarebbe costata fino ad oggi quanto bastava e avanzava per costruire un paio di palazzine in grado di accogliere tutti gli evacuati».

palazzine per plebei

Anche qui: ammetto pacificamente, non potendolo verificare, che il dato in sé sia vero: con quei soldi si potevano costruire case per tutti.
Anzi: «un paio di palazzine»; come quelle nelle quali, dico incidentalmente, non piacerebbe vivere né a Stella né a me.
Va bene.

generosità oppure dovere?

Però, che Stella mi spieghi una cosa, se può: quando si tratta di un’amministrazione che fa sfollare i cittadini da «tre edifici fatiscenti», in quale misura è idoneo l’utilizzo dell’avverbio «generosamente» per definire l’azione di ricollocazione di quelle persone in un luogo protetto da pioggia, vento, acqua e agenti atmosferici d’altro tipo?
È generosità o dovere di un’amministrazione?, mi domando.
Un Comune che avesse inteso agire non «generosamente» cos’avrebbe dovuto fare? Lasciare quei cittadini per strada pur di non attirarsi gli strali moralisti di Stella?

femminielli, pizza e mandolino

Dentro il «brutto albergo a due stelle» nel quale si menava «vita dorata», dice Stella che è stato trovato di tutto. Armi, per esempio. E moltissime persone che all’ospitalità «generosamente» offerta dal Comune non avevano diritto, compreso un femminiello «reduce da una notte sul marciapiede» (dove, evidentemente, per Stella poteva pure rimanere per tutto il giorno, sembra di capire, visto che il peggio – la notte – già l’aveva ormai superato all’addiaccio, e gli restava in fondo solo da attraversare una tiepida giornata all’aperto).
Nel quadretto napoletano il femminiello non manca mai.
Qualcuno ricordi a Stella di inserire da qualche parte anche la pizza e il mandolino.

il «diritto divino» di Montesquieu

Ma ecco il bello.
«Una bella fetta di napoletani è assolutamente convinta di avere una specie di diritto divino ad avere la casa gratis. E l’andazzo di chiudere un occhio sulle piccole e grandi prepotenze del popolino (“si può ben dire che la plebe napoletana è molto più plebe delle altre”, diceva già due secoli e mezzo fa Montesquieu) è così diffuso che il Comune, proprietario di un immenso patrimonio immobiliare, riesce a rimetterci 16 milioni di euro l’anno».

la casa gratis

Anche qui. Accetto per buono – e insieme a Stella volentieri inorridisco, se il problema sta qua – l’immondo spreco di 16 milioni di euro all’anno.
Ma come, come, come si fa – mi domando – a scrivere su un quotidiano come il Corriere della Sera che «una bella fetta di napoletani» (quanti? Hai i dati? Da dove li hai tratti?) «è convinta di avere una specie di diritto divino» (te l’hanno detto? In quanti hanno detto «sai, Gian Antonio: io ho il diritto divino»? Perché «divino»?) «ad avere la casa gratis»?
Ovviamente, va senza dire, «avere la casa gratis» è un atto altamente riprovevole; e non è mai stato parte di obiettivi di politiche economiche di altri Paesi e di altre fasi storiche.

proviamo a immaginare…

Riuscite a immaginare di leggere sul Corriere una frase come questa, per esempio? «Una bella fetta di veronesi è convinta di avere una specie di diritto divino ad avere licenza di urlare allo stadio cose come “napoletani di merda”»?
Non vi sembra che immediatamente sindaco e stampa locale insorgerebbero come un sol uomo? Che direbbero «noi non siamo razzisti», «è linciaggio mediatico», «abbiamo la più alta percentuale di volontari», «la qualità della vita è fantastica», eccetera eccetera?

il «senso comune»

A Napoli e per Napoli, silenzio.
È talmente ovvio, ormai, che Napoli sia pura merda, che nessuno ritiene abbia senso dire anche una sola parola.
E in questo vuoto di reazione, la voce di Stella e di tutti gli altri preoccupanti – per me – cantori dell’antimeridionalismo (che io leggo in una col razzismo) diventa sempre più alta, più sicura di sé, più incontestabile.
Quanto meno spiega il suo senso specifico, tanto più senso comune crea.

aforismi da «settimana enigmistica»

E come, come, come si fa a scrivere su un quotidiano come il Corriere della Sera, fondandosi sull’indiscussa auctoritas di Montesquieu, «si può ben dire che la plebe napoletana è molto più plebe delle altre»?
Cosa si sta cercando di dire, qui e ora, citando l’enciclopedista vissuto due secoli e mezzo fa, senza prendersi la briga di storicizzarlo, ma usandolo come un produttore di aforismi fulminanti da Settimana enigmistica? Utilizzandolo per suscitare un sorriso di sufficienza, un sorriso che rafforza nel lettore del nord il pregiudizio della propria superiorità?

le ragioni di silvio

Che i napoletani poveri sono al di sotto dei poveri normali?
Che non hanno nemmeno il diritto di essere chiamati «cittadini» ma sono soltanto «plebei» di merda?
Che sono peggio dei plebei – faccio per dire – di Marrakesh, come implicitamente sostiene Berlusconi quando dice di aver riportato Napoli dall’Africa all’Europa?

e goethe?

Per ragionare in termini di «popolo» mi riesce difficile non utilizzare le pinzette, anche volendomi poggiare sull’autorità dei maiores.
Ma a parte il fatto che decontestualizzare le citazioni può condurre a errori, perché non ricordare ciò che di Napoli disse – che so – Goethe? O ciò che scrisse Luigi Einaudi recensendo la traduzione che delle lettere di Goethe fece Giustino Fortunato?

il liberale einaudi

Le parole di Einaudi sulla qualità del lavoro e la qualità della vita, per esempio, avrebbero un loro senso, proprio ora che vacilla la fede cieca nel mercato e nelle sue assurde astuzie che prevedono la nascita di denaro dal denaro: «Giova, l’industria, in quanto cresce la massa di cose utili apprestate all’uomo; non giova in quanto la cresce inutilmente, inspirando l’amore del lavoro per il lavoro, provocando l’affanno di salire e crescendo il travaglio dell’uomo. L’antica sobrietà di desideri, il lavoro compiuto allo scopo di rendere la vita più bella dovrebbe rimanere in onore. Il problema sociale più urgente non è di crescere la ricchezza dell’uomo, ma di fargli sentire perché egli lavori e produca».
E ancora, parafrasando Goethe a proposito del napoletani, Einaudi scrive: «Trovo in questo popolo la più viva ed ingenua industria, non per arricchire, ma per vivere scevro di pensieri».

un trucchetto che può far male

Il giochetto di «Montequieu disse questo e Goethe disse quello» non mi piace, perchè è un’inutile garetta fra chi porta più citazioni positive o negative. Non finirebbe mai, questa gara; e porterebbe solo a muovere guerra.
A me non interessa minimamente approfondire il falso tema «chi è meglio fra meridionali e settentrionali», perché non solo non ho alcuna pretesa di far diventare le mie opinioni dominanti, ma nemmeno di trasformarle in contenuto politico.
Perché – piaccia o non piaccia agli squadristi – opinioni che si muovono lungo il binario «ma sono meglio i tailleur o gli chemisier?» – di questo, metodologicamente, si tratta – contenuti politici non sono.

una questione di responsabilità

Quel che voglio però dire è che nessuno si dovrebbe permettere di dimenticare quali responsabilità si assuma conferendo dignità a discorsi che sarebbe bene lasciare nei bar.
La responsabilità non diminuirebbe nemmeno se i fatti riportati fossero tutti assolutamente veri e se i giudizi fossero tutti supportati da una totalità di referenze statistiche a riprova.

i capi barbari

Perchè il problema – e spiace rilevare quanto poco questo interessi non solo a Stella, ma a un gran numero di altri maître à penser – è l’incomprensione o la sottovalutazione delle conseguenze, in termini di imbarbarimento del discorso pubblico, di liberazione di violenza verbale e forse – chissà – di violenza anche materiale.
Di liberazione di energie negative, insomma, non canalizzate in nessun alveo politico.

immedesimazione

Un’ultima domanda: se per sventura Stella si ritrovasse senza casa, preferirebbe vivere una «vita dorata» in «un brutto albergo a due stelle» o in un appartamento?
Così.
Per abituarsi a scrivere delle persone dopo aver provato a mettersi nei loro panni, dico.