scriviamo «scontro», e non ci vergogniamo

Tutti a scrivere «scontro».
Fra il Consiglio d’Europa e l’Italia – anzi: fra l’Europa e Maroni, ché così esce un quadro più a misura delle nostre miopie – per i giornali italiani c’è stato uno «scontro».
Più precisamente: «È scontro». Verbo al presente (e titoli più corti).

Se bado al significato della parola «scontro» (ovviamente contrapposta al positivissimo «dialogo»), mi colpisce una cosa: che, così come per dialogare, anche per scontrarsi – in qualunque campo, reale o figurato – occorre essere sulla stessa strada, nello stesso luogo: in sostanza, è necessario agire nello stesso contesto.

Quello che è successo fra il Consiglio d’Europa e l’Italia (ammesso che sia effettivamente accaduto qualcosa fra questi due pezzi di realtà, e non semplicemente riguardo a questi due pezzi di realtà) a me sembra che sia tutt’altro che uno «scontro», da qualunque parte la si guardi.

funzioni e contesti diversi

Il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha un ruolo assai diverso da quello del ministro degli Interni italiano.
Hammarberg ha studiato le leggi che ha voluto Maroni e con lui il governo Berlusconi; ha interrogato le persone: italiani non rom e non sinti, rom, sinti, rappresentanti di organizzazioni non governative; ha messo insieme le recenti raccomandazioni di altri organismi internazionali.
Maroni ha voluto le leggi che il rapporto di Hammarberg censura.

e se fosse una «reazione»?

Maroni «reagisce», non è che si «scontra» con Hammarberg.
Tant’è che Hammarberg non replica più niente, perché ha già detto tutto quel che doveva dire.
Maroni non sta sullo stesso piano, sulla stessa strada, nello stesso contesto di Hammarberg.
E dunque non c’è alcuno scontro possibile, tra loro.
A meno che.

e noi giustifichiamo la «guerra»

A meno che non si voglia surrettiziamente suggerire che l’Italia e l’Europa possono sostenere una «guerra» che, ancorché per ora solo diplomatica, possa liberare Maroni (l’Italia per antonomasia, nei titoli dei nostri giornali di oggi) dai vincoli della «burocratica Europa dei governi e non dei cittadini».

meglio la propaganda

Questo per dire che se anche non ce ne rendiamo conto perché ci sembrano sottigliezze che, insomma, solo un rompico****** può notare, in realtà è infinitamente più comodo, per noi giornalisti, spostarci su un piano di propaganda che tenerci su un piano di realtà.

siamo le spade fra le mani di qualcun altro

Stiamo tutti – chi più chi meno, è ovvio – tirando la volata ad altri.
Scrivendo «scontro» pensiamo di fare una cosa che ci consente di tornare a casa un po’ prima perché quella parola ci dà una scorciatoia per significare un concetto che «sentiamo» di moda, e invece stiamo fornendo argomenti a Maroni (in persona, e non all’Italia per antonomasia), a Berlusconi, a Tremonti (che in effetti ha chiesto la sospensione di Maastricht), e a tutti i partiti della destra per i quali la libertà di movimento nell’area Schengen è merda.

ma sì, andiamocene!

Stiamo dando a tutti loro argomenti per sostenere la tesi che dall’Europa – intendo dalla Ue, cosa diversa dal Consiglio d’Europa** – possiamo anche uscire.
Stiamo dando a loro la possibilità di dire, domani, fra una settimana o fra sei mesi, che l’Italia ha tutti i diritti di volersene andare, perché quest’Europa ha veramente rotto le palle, con tutti questi «scontri» in cui ci ha costretto a difendere l’onore virile dell’Italia.

w l’europa dei popoli!

Stiamo dando a tutti loro la possibilità di fingere che tra Europa e Italia ci sia un legame sostanzialmente paritario, e non di subordinazione politica in senso lato: è una subordinazione politica in senso lato ciò che ciascuno dei 27 Paesi accetta dalla Ue. Ogni Paese sa che è la Ue l’organismo (chiamiamolo così) che su alcune materie – come il razzismo e la xenofobia, per esempio – deve curare l’omogeneità delle legislazioni nazionali.

largo ai difensori di tutti noi

Ma noi giornalisti – che pure abbiamo firmato in giugno la Carta di Roma – preferiamo dare (e perfino gratis, senza costringerlo a pagare nessun prezzo!) a Maroni (cioè all’Italia per antonomasia) la possibilità di incarnare il ruolo del defensor rei publicae contro gli attacchi degli scellerati burocrati stranieri.
E senza nemmeno aver letto, noi, il memorandum Hammarberg.

Che consiglio caldamente di leggere. Ne vale la pena.

**Per carità di patria non avevo scritto esplicitamente, ieri – oggi è il 31 luglio – quel che la Stampa esplicita qui.

P.s. Sul tema del memorandum, consiglio di dare un’occhiata anche al post di Kalle qui.