il corpo senza corpo

nuvole_sul_ponte_luas_di_-dundrum_dublin_Al lavoro, con un occhio solo e un orecchio solo, sto seguendo la trasmissione di Gad Lerner sul corpo femminile.
Ci sono Cesare Lanza, attempato autore tv con trenta o quaranta capelli bianchi sospinti in avanti (modello Take That, per capirci) da un pettine senza pietà.
Un’insufflatissima Alba Parietti, una furiosissima Gabriella Carlucci, Lorella Zanardo (autrice di un documentario che voglio vedere), una poetessa libanese, una politologa dell’università di Bologna e l’astrofisica Margherita Hack.

Il tema corpo vero-corpo falso, paura della vecchiaia-esaltazione dell’omologazione è estremamente affascinante.
Così ricco e stimolante che ci si potrebbe perdere dentro.
Eppure, raramente ho visto orgogliosamente esibita una così impressionante inettitudine a incunearsi in profondità nei contenuti.

Lanza (che cita anche «il mio carissimo amico Gianantonio Stella», e ci sarà un perché) a dire che nelle sue trasmissioni non ci sono solo culi e tette, ma anche – eccome – cervelli e cervelli; e che comunque – anche se non ci fossero – quello è il mondo reale, e mica quello delle schifiltosette che fanno le intellettuali (e sono dei cessi).

La Parietti a dire che ha il diritto di piacere a se stessa, che lei non s’è rifatta per piacere agli uomini.
La Carlucci a ripetere quanto avanti è il Berlusconi, e quanto indietro la sinistra snob che non capisce la ricchezza connessa alla gioventù e alla freschezza, e quanto femminista sia lei, altro che quella vecchiaccia della Hack.

Ma è così difficile capire che la domanda alla base della trasmissione esigerebbe tutt’altro genere di riflessioni?
È così difficile capire che la vera domanda è «perché per il corpo vero, con la sua storia, non c’è spazio “pubblico”?».
È ovvio che un corpo giovane e bello piace di più di un corpo brutto e vecchio, nessuno lo nega.
Il problema è perché non siamo in grado di essere ciò che siamo.
Perché non siamo capaci di accettare che nasciamo, cresciamo e invecchiamo.
Che la sfida della vita è questa, mica un’altra; è affrontare momento per momento la propria mutevole verità; e senza mai riuscirci veramente fino in fondo, tra l’altro; in una dialettica perenne.

È difficile, crea angoscia.
Ma quanto angosciante dev’essere guardarsi allo specchio – senza riconoscersi – dopo un intervento di chirurgia plastica?
Quanto angosciante dev’essere – la sera, un attimo prima di addormentarci – la consapevolezza che il nostro corpo è falsificato dalla chirurgia?
Quanto angosciante dev’essere sapere che ci si sta prendendo in giro, che si sta giocando con una bambola che non ci appartiene?