violenza politica un corno

si_sta_facendo_notteMarciare sull’argomento dell’antisemitismo, come fanno il ministro Sacconi e la sua collega Gelmini – quella che al plurale declina la parola carcere al maschile – è una cosa che non mi piace affatto.
È ovvio che è orrendo attaccare una persona per la sua provenienza geografica o per la sua religione. Non minimizzo affatto la facilità con la quale di uno si dice dispregiativamente che è nero, terrone, ebreo. Sono perfino disposta a riconoscere l’aggravante della «misconoscenza» della Shoah.

Su un forum è uscita questa frase: «La Gelmini a questa riforma sta dando solamente il nome e la faccia. In realtà, l’artefice dietro le quinte di essa, il puparo, è l’ebreo Giorgio Israel».

A parte che «puparo» mi sembra più offensivo che ebreo – ma magari il mio sarà un punto di vista assai particolare – ecco come Israel, «docente universitario di matematica all’Università La Sapienza di Roma e presidente della Commissione ministeriale per il rinnovamento della formazione dei docenti», commenta la cosa: «In questo Paese c’è una dose di violenza politica che fa spavento».

Sono d’accordo.
Ma che lo vada a dire ai leghisti, per favore.
Prima che loro sdoganassero la legittimità politica della violenza gastrointestinale e delle flatulenze da maladigestione della democrazia, questo Paese non era così violento.
E lei, professore, presiede una commissione di un ministero di un governo in cui ci sono i leghisti.
Pensi ai suoi amici leghisti, prima di dire che in questo Paese c’è troppa violenza politica.

Lei è libero di ritenere che dire che lei è ebreo, professore, è violenza politica. Io non credo di poter gridare alla violenza politica, se di me dicono che sono donna.
E se «ebreo» e «donna» vengono detti in tono dispregiativo, professore, non si tratta di «violenza politica», ma di anti-ebraismo e di anti-femminismo.

Infine, una nota a margine, che c’entra e no con la vicenda che riguarda il professor Israel (a cui, se si sente insultato dalla frase, va la mia solidarietà).
Chi detiene il potere di fare e di non fare, ed è il caso di un governo, non può gridare alla «violenza politica» (come spesso, purtroppo, questi nostri ministri fanno) quando viene criticato.
Si chiama, appunto, diritto di critica.
Volerlo mettere a tacere non significa far tacere la violenza politica (che può anche e benissimo essere quella cosa in virtù della quale un governo infligge continuamente colpi alla Costituzione), ma far tacere il confronto delle idee.