giornali, razzismo e stupidità selettiva

Con ripetitività che comincio a giudicare seccante mi imbatto in una questione che mi sconcerta, legata – io credo – al conformismo e ad alcune forme piuttosto bizzarre di stupidità prodigiosamente selettiva.
La questione è questa: ha senso inserire in titoli, catenacci, occhielli, sommari e pezzi giornalistici la notazione relativa alla provenienza geografica di una persona che è al centro di una notizia?

La mia risposta è sì. Assolutamente sì.
La mia risposta è: scrivere tutto ciò che so è mio dovere di giornalista.
Ma più avanti argomenterò meglio.

l’ortodossia

La risposta normale dell’ortodossia giornalistica che si ritiene progressista è un decisissimo no, spesso accompagnato dalla considerazione che negli altri Paesi, quelli che ragionevolmente (soprattutto se siamo all’incirca di sinistra, meglio ancora se delusi, ah quanto, dal Pd) tutti consideriamo più civili del nostro, è abitudine del tutto scontata omettere la nazionalità o altri dettagli che possano risultare di sapore razzista o discriminatorio.

il razzista

A corollario di questa posizione, viene spesso accostato l’argomento secondo cui chiunque non sia d’accordo sul punto è razzista, o retrogrado, o leghista, o cattivo giornalista; a seconda degli umori dei supremamente democratici.

il rispetto

Il fatto che esista una convenzione politically correct in voga in Paesi genericamente ritenuti (e probabilmente a ragione!) ben più civili del mio non mi basta a convincermi che io, in quanto giornalista, non sia pagata per dire e scrivere tutto quello che di una notizia so.
Naturalmente, però (e prego di notare il fatto che questo non è un inciso da poco, perché fa tutta la differenza possibile al mondo) il mio compito è scrivere in modo che l’identità delle persone di cui scrivo sia rispettata, senza mezzi termini.

l’ideologia della negazione

Scrivere che una donna è donna non può essere discriminatorio, per esempio, perché è verità.
Se chi lo scrive intende diffamare una persona perché ritiene che essere femmina sia un «minus», o chi legge lo percepisce come discriminatorio, be’, a me questo sembra semplicemente un fenomeno di negazione della realtà compiuta sulla base di un presupposto ideologico che io, nel mio lavoro e nella mia vita, non ritengo eticamente corretto avallare.

il nesso di causalità

Se nel caso di una violenza sessuale io scrivo nel pezzo che la donna violentata portava una gonna corta, mi sembra – se effettivamente la portava, è chiaro – di dire semplicemente la verità.
Altra cosa – e mi sembra patente – sarebbe stato se avessi scritto che la donna violentata aveva provocato lo stupratore perché portava la gonna corta.

la «provocazione»

Se taccio la circostanza della gonna corta, io dò ragione a chi vede la cosa da un punto di vista sessista.
Taccio il dettaglio perché se lo scrivo temo/sono certo di dire implicitamente che quella donna provocava.
E invece il mio compito di giornalista è dire/chiarire/far capire che portare la gonna corta è un diritto di tutte le donne.

prender per buona la destra

È la stessa cosa che sta facendo la sinistra, per capirci.
Accettare e prendere per buono il punto di vista della destra (cioè, per rimanere nell’esempio, accettare che portare la gonna corta sia provocare un maschio) e rinunciare ad esprimere il proprio modo di guardare alla realtà (cioè, per rimanere nell’esempio, affermare con forza che qualunque donna ha il diritto di vestire come vuole senza che questo autorizzi nessuno a violentarla) per paura che il proprio punto di vista non venga compreso.
Ma questo significa lasciare campo libero a Feltri e ai giornalisti che, a destra e a sinistra, interpretano il giornalismo come lui.
Lui scrivendo che il tale era marocchino e bastardo; gli altri omettendo che era marocchino, e omettendolo per paura che qualcuno – al di sotto della parola «marocchino» – possa leggere in trasparenza la parola «bastardo».

bandiera bianca

Non dire e non scrivere per paura di essere fraintesi significa alzare bandiera bianca e rinunciare a fare i giornalisti facendo finta di essere molto corretti, molto di sinistra e non razzisti.
Molti hanno alzato bandiera bianca, certo.
Tanto fra coloro che non vorrebbero mai scrivere «svizzero investe un ciclista» perché è razzismo, quanto fra quelli che adorano scrivere «marocchino stupra donna sotto gli occhi di figlioletti atterriti» perché così dimostrano senza far fatica che marocchino uguale merda.

stop alla professione

Tanti hanno smesso di fare i giornalisti, per farisaismo, pavidità, timore, servilismo, pigrizia o puro desiderio di asserire punti politici o ideologici e non professionali.
Tanti, purtroppo.
Un numero sufficiente a rendere impossibile agli altri colleghi, quelli che vorrebbero semplicemente fare i giornalisti, il privilegio – appunto – di fare solo i giornalisti.
Un numero sufficiente a farci diventare (e percepire, e percepire!!!) piccoli politici da strapazzo, strumenti dei politici veri; di quelli che nella catena alimentare vengono prima di noi.

da sinistra

Ma per tornare al punto (no: al punto apparente): per me, invece, la nazionalità – così come altri elementi identitari – è elemento della notizia.
A scanso di equivoci, per una volta brutalizzo anch’io la realtà in una bella formuletta: lo è «da sinistra».
Se non altro per il dato di fatto banale che non posso parlare da nessun’altra posizione se non da sinistra.
Da una sinistra non ortodossa, certo; ma da sinistra.

lo scrupolo

Va poi da sé – lo ripeto, perché con le forme di stupidità selettiva è meglio abbondare in dettagli – che la notizia (anche ma mica solo quella che contiene l’indicazione della nazionalità) dev’essere scritta con temperanza e scrupolo, e che nessuno dev’essere ritenuto corrivamente responsabile di alcunché.

l’indifferenziazione è negazione

Il mio obbligo, credo, è astenermi dal considerare – e dal far percepire a chi legge – che un essere umano di cui scrivo sia semplicemente l’esponente indifferenziato e casuale di una categoria di individui ai quali attribuisco caratteristiche omologhe e oleografiche prima ancora che negative.

l’individuo

Senza una storia, senza un’identità individuale.
Fare di ogni erba un fascio è colpa giornalisticamente rilevante, perché è la colpa-madre del razzismo.
Qualche volta dovremmo ricordarcelo.

la capacità professionale

Ognuno si porta dietro la propria identità, e non è negandola o censurandola che io giornalista gli rendo un onorevole servizio.
Quel che io posso e devo fare, perché corrisponde ai miei obblighi deontologici, è riportare i fatti rispettando l’identità della persona di cui scrivo.
Ed è qui che entra in gioco la mia capacità professionale.

azouz e l’omissione

Si poteva, per esempio, non dire che Azouz – il marito di Raffaella Castagna, il padre di Yousef, entrambi uccisi, stando alle sentenze, da Rosa Bazzi e Olindo Romano – è nordafricano?
Aveva senso ometterlo?
O non era, anche quello, un elemento che dava il quadro della situazione?
Non spiegava, quell’elemento, l’addizione di acrimonia delle persone che sono state condannate per la strage (se a commetterla sono state loro)?

il sospetto

Fu sbagliatissimo, invece, ipotizzare subito dopo la strage, quando ancora niente era chiaro, che Azouz-il-nordafricano era sospettato; o indurre nel lettore la convizione che lo fosse.
Ma questa, come capisce chiunque, è una cosa completamente diversa.

obama e la simpson

Obama ha nominato una donna transessuale consigliere capo del dipartimento del commercio.
Il fatto che esistano molte persone che riescono a pensare e sostenere che la transessualità è una condizione «contro natura» avrebbe dovuto fermare la stampa dal riportare il dettaglio che fino a qualche tempo fa Amanda Simpson era un uomo?
Oppure, invece, il fatto che la Simpson sia transessuale significa qualcosa per me che leggo e voglio capire com’è – ma sì, allarghiamoci – l’America di oggi?

amanda è transessuale

Perché avrei dovuto negare al nuovo consigliere capo (o si dirà consigliera capo?) la sua identità solo perché qualcuno, leggendo, avrebbe potuto ritenere inidonea o scandalosa la nomina di una transessuale?
Non è forse specificamente compito mio di giornalista fare in modo che il mio pezzo riporti la notizia della sua transessualità come un dato di fatto privo di giudizio?

dovere e censura

Non è mio, forse, il dovere di chiarire e contestualizzare?
E se io me lo proibisco, questa cosa non si chiama forse autocensura?
E se, in forza di una considerazione normativa dell’argomento del «politically correct», a proibirmelo è qualcun altro (una legge, un ente, un regolamento, il mio direttore…), questa cosa non si chiama censura?

la serietà

Sono completamente d’accordo con chi sostiene che i giornalisti siano per buona parte tragicamente incapaci di rispettare le persone di cui scrivono; e che dunque, per molti di loro, scrivere «marocchino» o «rom» equivale ad aver percorso la scorciatoia del disprezzo sociale e del razzismo (e su questo punto torno fra poco).
Ma vorrei far notare che di per sé, scrivere che un marocchino ha ucciso una persona non è in alcun modo diffamatorio né nei confronti del marocchino in questione né nei confronti dei suoi connazionali, se io racconto i fatti in modo serio ed equilibrato.

nel mio paese c’è gente diversa

Perché dovrei ritenere che scrivere che una cosa l’ha fatta una donna non sia diffamatorio, ma che diffamatorio sia al contrario scrivere che l’ha fatta un ghanese?
La società in cui vivo è ricca di presenze diverse.
A me piace così.
A me va bene.
Mi piace che esistano italiani neri e italiani musulmani, e italiani transessuali e italiani gay e italiane lesbiche, transessuali, bisessuali, italiani beige e italiani rosa e gialli e italiani blu.

la varietà

E se un italiano investe una donna sulle strisce io scrivo «italiano investe una donna sulle strisce», perché nel mio Paese, grazie a dio, esistono persone diverse, e non solamente dei piccoli bossi o delle piccole gelmini, rigorosamente bianchi e ariani.

la neutralità identitaria non esiste

Perché dovrei presumere che essere italiano configuri una situazione di «neutralità identitaria» in base alla quale io posso essere esentata dal riportarne notifica al lettore? Perché un italiano dovrei semplicemente chiamarlo «uomo» e non «italiano», nel momento in cui la società in cui vivo è finalmente composta da molteplici identità, e non è più indifferenziata?
Esiste un soggetto di notizia «neutro»?
La mia risposta è no, non esiste.

il mio diritto

E rivendico il diritto di identificare le persone con il loro contrassegno identitario rilevante.

il mio dovere

Mi si obietta: rilevante per chi?
Rispondo: rilevante per me.
Io sono pagata apposta per decidere cos’è notizia e cosa no, cosa è rilevante e cosa no.
Può non piacere, e io so bene che in troppe occasioni questa facoltà è riconosciuta a colleghi che sarebbe preferibile godessero di margini di manovra molto meno ampi.

gli stupidi al voto

Tant’è, però: mi piacerebbe anche che andassero a votare molti meno stupidi di quanti invece raggiungono i seggi.
Ma per il semplice gusto di levarmi dai piedi un po’ di stolti non mi sogno nemmeno lontanamente di chiedere che la democrazia venga soppiantata dalla monarchia.

la responsabilità

Io mi assumo la responsabilità di quel che scrivo, e del modo in cui lo scrivo, sottoponendomi non solo al giudizio dei lettori (che sarebbe ancora poco; sarebbe un principio aziendal-liberista che qui non mi interessa) ma anche al codice penale e al codice civile.
Se diffamo qualcuno, che mi si chiami a risponderne.

il tedesco

Ma se scrivo che un tedesco è tedesco non capisco perché qualcuno possa ritenere che io abbia superato i limiti della mia diligenza professionale.

i figli dei notai

Se va a fuoco la baracca di un gruppo di persone straniere – mi domando – ha senso o no scrivere che a morire fra le fiamme sono state persone straniere?
Certo che sì, perché quelle persone sono morte in ragione della loro condizione di precarietà abitativa.
Nelle baracche, per esempio, non muoiono i figli dei notai.