berlusconi non ha paura di ruby

Nella vicenda di Ruby c’è qualcosa che non mi convince.
Colaprico e Davanzo, per esempio, sostengono che la telefonata con cui Berlusconi ha chiesto alla questura di affidare la ragazzina a Nicole Minetti sia nata dalla sua paura:

Il Cavaliere teme – di quella cubista che ha ospitato ad Arcore in più occasioni – i ricordi, la lingua lunga, la volubilità: potrebbero questa volta metterlo davvero nei pasticci.

In questo quadro, visto che ora la ragazzina ha parlato, Berlusconi dovrebbe essere terrorizzato.
E terrorizzato comunque – secondo la ricostruzione che del suo stile di vita è ragionevole approssimare – dovrebbe egli essere ogni giorno della sua vita, al solo pensiero che una qualunque delle ragazze con cui s’è intrattenuto possa raccontare cose vere, false o esagerate su di lui.

Io, invece, penso che il suo irrituale e abusivo intervento sulla questura nasca dal suo stesso modo di essere.
Egli ritiene di essere Il Padrone.
E al Padrone è consentito ogni genere di intervento, maxime quegli interventi grazie ai quali egli può alimentare davanti ai suoi stessi occhi l’immagine del suo potere benevolo.


Le ragazzine, le donne adulte, le aspiranti showgirl e le aspiranti politiche lo sanno, e perciò gli si rivolgono non per caso chiedendogli non generico appoggio, ma il più delle volte – per quel che se ne legge e se ne è letto sui giornali – specifici favori: la licenza edilizia, la partecipazione al programma tv, la liberazione dal carcere minorile.

Come nel caso di quella malattia socialmente non riconosciuta in cui è immerso l’assassino di «Due colonne taglio basso», anche Berlusconi immagina che il suo potere lo tenga immune da ogni macchia.

Io credo che egli non abbia alcun timore di essere smascherato, perché regge la sua consapevolezza di sé su alcuni presupposti che gli impediscono di leggere le cose secondo il principio di realtà.

Ho evaso le tasse?
Ma se ho pagato millantamila milioni di euro!!!
Vi andate a fissare su 800 mila euro di presunta evasione, adesso?

Io con le minorenni?
Ma state scherzando?
Ho una vita durissima, lavoro ore e ore e ore, dormo pochissimo, amo la vita e amo le donne: ogni tanto mi rilasso in loro compagnia, ma che c’entra il sesso?

Le donne a pagamento?
Ma a me la conquista piace un sacco! Io non ho bisogno di pagare nessuno perché stia con me!

La diciassettenne in questura?
Mi ha chiamato perché sa che sono generoso, sa che aiuto tutti quelli che posso aiutare!
Mubarak? Vabbè, era solo per aiutarla meglio!

Le mie aziende?
Non mi sono mai avvantaggiato della mia posizione per dar vantaggio a loro; come potete crederlo?
Craxi?
Craxi ha solo capito che le mie televisioni sono un patrimonio del Paese e danno lavoro a tantissima gente.

Le mie mille case?
Che male c’è a comprare case per i propri figli?
Tra l’altro io lavoro così tanto che non ho nemmeno il tempo di godermele!

Insomma.
La negazione della realtà, di ciò che si vede e si sente, è un automatismo aggressivo-difensivo che scatta in qualunque situazione, indipendentemente dalla materia di cui si tratta.
E si aggancia alla considerazione di sé come uomo dotato di virtù eccezionali: preveggenza, lungimiranza, seduttività, forza, energia, sense of humour, vitalità, giocosità, senso pratico, capacità di moltiplicazione del denaro, autorevolezza, serietà, concretezza, generosità, bellezza, grazia, luminosità.

Come dice Chiara alla fine di «Due colonne taglio basso»,

«Adesso possiamo anche sostenere che ha agito come un folle, (…), che la sua assenza di precauzioni era scellerata.
Ma quello che oggi (dopo un omicidio, ndr) giudichiamo follia fino a ieri ci sembrava perfettamente normale, quasi una forma di sublime destrezza mondana.
(…)
Quelli come lui (…) possono lasciare tutte le tracce che vogliono, non ritiene?
L’hanno sempre fatto, e hanno sempre trovato qualcuno che faceva loro da schermo, che ricostruiva la genesi dei loro minimi delitti di poco conto secondo le convenienze sceniche del momento.
(…)
È una malattia, avvocato.
Una delle poche malattie che la società ha dimenticato di certificare, forse perché la ritiene indizio di sanità.
Ma i sintomi c’erano tutti, mi creda.
Chiunque li poteva vedere
».

Non è per il gusto di vedere patologia dove essa non c’è; è che questa «malattia sociale» esiste, ed è veramente – io credo – certificata come sanità.