legge 40, l’ennesimo insulto dei pii


A proposito della questione di costituzionalità sollevata in relazione al divieto di fecondazione eterologa imposto dalla famigerata legge 40, leggo che, secondo un uomo che si chiama Carlo Giovanardi,

in Italia siamo all’emergenza democratica se una volontà popolare, espressa dal Parlamento e liberamente confermata da un referendum, viene messa in discussione da iniziative giudiziarie.

Ora, a meno che io non mi sia persa qualche puntata dello sceneggiato «Un Paese di mer**», a me non risulta che i giudici siano interpreti della volontà popolare, né che il loro lavoro sia legittimato dalla volontà popolare.
Quel ruolo dovrebbe semmai spettare – e tralascio per generosità ogni questione sul tipo di rappresentanza che possa venire generata dall’attuale legge elettorale – alle persone come Giovanardi, sempreché elette prima che annesse al consiglio dei ministri.


La funzione di un giudice costituzionale è esattamente quella che Giovanardi vorrebbe sottrargli: misurare la costituzionalità di un provvedimento legislativo.

È tragicamente stupefacente il fatto che un uomo che è stato ministro ed è ora sottosegretario finga di non conoscere (o non conosca) i ruoli istituzionali basati sul principio della separazione dei poteri.

Facciamo che il Parlamento – senza modificare la Costituzione – un giorno legiferi sostenendo che alcuni cittadini (quelli di pelle nera? Quelli di pelle nera, okay) non possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

Facciamo che ai cittadini di pelle nera, per rimanere nell’esempio, venga in mente di raccogliere le firme per un referendum contro questa legge, che le firme siano sufficienti e che la Corte di cassazione ammetta i loro quesiti.

Facciamo che venga dunque indetto un referendum per l’abrogazione della legge dello Stato che, votata dal Parlamento, impedisce ad una categoria di cittadini di agire in giudizio a propria tutela.

Facciamo che questo referendum non raggiunga il quorum di votanti necessario a validarne l’esito, in un senso (l’abrogazione della legge) o nell’altro (la sua conferma).

Questo, per Giovanardi e per la Roccella – che, povera piccola, vive in un mondo degno di Bosch (e non sto alludendo al frigorifero) ed è ossessionata da quest’idea che le donne che si sottopongono alla fecondazione assistita muoiono, che i bambini nati dopo la fecondazione assistita muoiono o comunque si ammalano, che le donne che prendono la Ru486 muoiono, che le donne che donano ovociti muoiono, e anzi vengono inseguite da feroci predatori di ovociti che prima prelevano loro gli ovociti, poi ne fanno turpe mercimonio, poi le tengono sequestrate in orride segrete fino al termine della loro età fertile, e infine le ammazzano – significa che quella legge è automaticamente e per ciò stesso costituzionale.

Se un Parlamento l’ha votata e un referendum non l’ha abrogata, beh, per loro è fatta: la legge è sacra (e, ovviamente, del tutto conforme al dettato costituzionale) perché l’han fatta loro ed è anche – magia! – espressione della «volontà popolare».

Eppure, restando nell’esempio, l’articolo 24 della Costituzione esiste ancora.
Nessuno l’ha abrogato.
Il suo primo comma dice ancora: «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi».

Dunque, potrebbe ben accadere che, stante la perdurante e contemporanea vigenza dell’articolo 24 e dell’articolo 3 della Costituzione, un giudice sollevi questione di costituzionalità.
Potrebbe ben darsi che, ugualmente considerata la non revocata validità degli articoli 3 e 24 della Carta, la Consulta decida che quella legge sia incostituzionale nella parte in cui limita l’accesso ai tribunali a una categoria di persone, perfino se essa legge è stata votata dai super-pii e «confermata» dalla sempresialodata «volontà popolare».

E allora?
Che facciamo?
Gridiamo al golpe?

E se invece il legislatore tentasse di promulgare testi di legge il più possibile coerenti con la lettera e lo spirito della Costituzione, invece che testi ideologici e confessionali?

E se invece il legislatore facesse il suo «lavoro» lasciando che la Consulta faccia il proprio?

E se invece – all’opposto – il legislatore avesse il coraggio di abrogare l’articolo 3 e l’articolo 24 della Costituzione e di abolire la Corte costituzionale?

Secondo me siamo all’emergenza democratica quando due componenti del governo della Repubblica non provano il minimo senso di vergogna affermando idiozie senza alcun fondamento, che accreditano colposamente o dolosamente (ma, in qualunque caso, colpevolmente) una ricostruzione dell’architettura istituzionale del Paese basata sul principio della loro misera convenienza.

Secondo me siamo all’emergenza democratica quando nessun giornalista pone a Giovanardi o alla Roccella una domanda di questo tipo (ma ce ne sono anche altre, eh): «Scusate, signori sottosegretari: ma che relazione istituzionalmente (e politicamente) giustificabile esiste tra costituzionalità di un testo di legge e asserita “volontà popolare”?».

Astenersi dall’esprimere giudizi giustificatamente corrivi e triviali su gente come questa sta diventando sempre più difficile.
Argomentare è una fatica che sento sempre più pesante.

Tanto più che, per dare almeno qui in fondo un senso alla scelta dell’immagine che illustra il post, un giornale che ama definirsi di opposizione titola, a proposito della questione di costituzionalità, «sfida a governo e Chiesa».

S-f-i-d-a?
E in che senso?
Chiedere ai giudici costituzionali se una legge è costituzionale equivale a sfidare il governo (nemmeno il Parlamento, attenzione: il governo, a cui non spetta il potere legislativo, perbacco, ma il potere esecutivo!) e – questa è francamente incomprensibile – la Chiesa?

Ma che relazione istituzionale (o anche politica, se è per questo) c’è fra la Consulta e la Chiesa?
Rabbrividisco.

Non cedere alla fascinazione dell’«andate a farvi fo*****, bastardi» è un’impresa prometeica.