fuoco alle polveri (tanto, mica è colpa mia)


Io, francamente, non capisco come possa, Di Vico, scrivere sul Corriere quel che scrive.
Che l’alluvione abbia fatto danni enormi lo so e lo vedo. Perciò non nego che lo Stato si debba muovere.

Ma una frase come «si sta correndo il rischio di una nuova frattura politico-culturale tra il Nord Est e le élite di questo Paese» contiene qualche interrogativo implicito al quale si dovrebbe dare risposta: chi sta alimentando la frattura; da quando; su quali temi; cosa si intenda per «élite di questo Paese» e da chi essa si intenda rappresentata.

Perché se «élite» è per caso la parte di Paese che governa mi pare veramente difficile sostenere che il nordest, dopo almeno due decenni in cui ha martellato duro sul principio (razzista) della rappresentanza territoriale, non sia incluso in quell’élite con la quale Di Vico pretende si stia rischiando la frattura.

Se invece «élite» è ciò che si può definire l’«intellighenzia», allora la frase di Di Vico sta un po’ più in piedi.
Ma quella frattura il nordest se l’è alimentata da solo, a furia di flatulenze ideologiche sul principio della rappresentanza territoriale, postulando l’assurdità che gli interessi di un territorio siano omogenei fra loro e univocamente orientati a fini compatibili fra loro.

«Sembra quasi», scrive Di Vico, «che il Veneto non meriti empatia e questo perché le élite nazionali in fondo continuano a considerare quella del Nord Est una società chiusa, brulicante di intolleranti ed evasori».

Non vorrei dire degli evasori, perché tendo a circondarmi di gente mediamente perbene, anche se in questi casi non si sa mai.
Ma dell’intolleranza dirò qualcosa, perché quella si vede senza andare a controllare le carte dal commercialista.

Ecco cosa dico: che questa è veramente una società chiusa e brulicante di intolleranti.
Di più: di razzisti, che – andrà pur detto – non vogliono avere tra i piedi nessuno che sia diverso da loro.

Trovo del tutto sconcertante, giustificazionista e perfino violenta la scusante implicita in quest’altra frase di Di Vico: «La minaccia avanzata ieri dagli industriali vicentini di mettere in atto lo sciopero delle tasse è figlia di questo risentimento, è la constatazione di una ferita che si pensava in via di sutura e che invece l’inondazione ha addirittura allargato».

A parte il fatto che mi piacerebbe tanto sapere di quali elementi Di Vico sia in possesso per poter affermate che «la ferita si pensava in via di sutura», mi domando di quale ferita parli.

Di quella fra un nord che a getto continuo vomita merda (e mi si perdonerà il francesismo) contro il sud con le armi della propaganda ideologica, della distorsione della statistica, e con le bombe di un governo nordista, e un sud che reagisce sfoderando le luccicanti spade di un Miccichè o rispolverando proprio quel che la Lega vuole, ovvero l’armamentario da «orgoglio sudista», non meno idiota dell’«orgoglio nordista»?

Com’è – mi domando – che se il sud si lamenta e s’incazza è colpa del sud, e se il nord si lamenta e s’incazza (chiedo scusa: esprime un «risentimento» che è «figlio» di qualcosa sicuramente meritevole di considerazione) è ugualmente colpa del sud?

Com’è che – all’improvviso – le «élite» tornano ad essere rappresentate dalle odiate e pigre frotte cispadane, dopo che quasi quasi ci eravamo convinti un po’ tutti, perfino i più renitenti, che l’avanguardia intellettuale del Paese fosse Calderoli?

Mi accade poi di domandarmi anche a cosa possa mai pensare Di Vico scrivendo una cosa come questa che qui segue: «Di sicuro un’Italia che volesse continuare a considerare il Veneto alla stregua di un figliastro si darebbe la zappa sui piedi».

Anche qui, vale la stessa cosa che vale per la definizione di «élite».
Non capisco chi sia l’Italia, in questo quadro.
Da chi l’Italia sia rappresentata, se non dal suo governo, dalla sua maggioranza politica, tenuti entrambi in ostaggio da tempo dalla Lega, che a Berlusconi deve ben più che il semplice salvataggio – se la notizia è vera – della banca con cui Bossi aveva pensato di mettersi a fare il Cucciolo (nel senso di piccolo Cuccia, dico) della situazione; e alla quale Berlusconi deve ben più che semplicemente la presidenza del Consiglio dei ministri.

Ma quel che veramente non sono in grado di comprendere del tutto è la frase con cui il pezzo di Di Vico – che evidentemente non si rende conto o finge di non rendersi conto di quanto potente sia la fiamma che anche lui ha appiccato alla miccia della ferocia politico-civile del nordest – si conclude.

La frase è questa: «Perciò già dai prossimi giorni, sperando nel frattempo di non dover raccontare nuovi disastri, c’è bisogno di un gesto di riconciliazione che riconosca apertis verbis i meriti e le sofferenze di una comunità».

Ma cosa sta chiedendo, Di Vico?
Che Pulcinella canti una canzone sulla superiorità della polenta sulle zeppole di San Giuseppe e a Napoli si sfornino pizze con la scritta «i vicentini stanno soffrendo più degli irpini dopo il terremoto dell’80»?

Oppure sta avvertendo qualcuno che se a nordest non arriva un bel po’ di denaro il suo giornale ha già deciso da che parte stare?