la fiat, i visibili e gli invisibili

Eccoli lì. Arrivano. Fassino e Chiamparino, dico. Voterebbero sì alla Fiat, loro due, se fossero operai.
Dicono che se non si vota sì perdono tutti i lavoratori perché la produzione sarà spostata altrove.

Ora.
Capisco che l’obbligo di fingersi minimamente influenti su una situazione così enormemente compromessa comporti la necessità di fingere anche che si stia ragionando sulla scorta di una propria lettura dei fatti.
Però dire che è il caso di votare sì perché altrimenti la Fiat licenzia tutti e se ne va non è proporre la propria lettura dei fatti consigliando una strategia (o una tattica, forse) politico-sindacale avendone valutati i pro e i contro.

Dire «votate sì perché sennò la Fiat vi manda tutti a casa» è cedere al ricatto del più forte.
Non nego di certo che la Fiat, per quanto debole, sia più forte non solo di Fassino e Chiamparino, ma certamente anche di tutto ciò che una volta si definiva «sinistra».
Il fatto è che Fassino e Chiamparino, invitando a votare sì, dichiarano non solo la propria sconfitta di singoli uomini politici, ma anche la débâcle dell’intera loro parte politica.

Per carità: che la sinistra sia morta è evidente in mille e mille cose.
Ma non avere neanche il coraggio di dirselo, non avere nemmeno la solidità per dichiarare al Corriere o all’Ansa che «cari operai della Fiat, dovete votare sì perché se votate no nessuno ha la capacità di difendervi e di sostenervi», è una presa in giro che perpetua l’illusione che si possa ancora fare qualcosa.

E invece non si può fare un accidenti.
Firmare appelli, forse.
E scrivere articolesse, forse.
E nel vuoto della politica rendersi visibili come presenze profetiche che incarnano la possibilità di un altrove culturale o addirittura politico.
E, in qualità di «visibili», nemmeno rendersi conto che per la visibilità di alcuni gli invisibili pagano ogni giorno in sconfitte, in abbandoni, in isolamento.