gramellini e il diritto di voto

Eccolo lì. Era solo questione di tempo.
Eccolo , un Gramellini che – invocando la diseguaglianza come fattore di frizione vitale – ci spiega che

per realizzare una democrazia compiuta occorre avere il coraggio di rimettere in discussione il diritto di voto.

Non posso guidare un aeroplano appellandomi al principio di uguaglianza: devo prima superare un esame di volo.

Potrei cavarmela dicendo che prima di avere il coraggio di rimettere in discussione il diritto di voto, io rimetterei in discussione a questo punto il diritto di parola.
Ma non lo farò.

Mi limiterò a disperarmi, perché l’appello al valore positivo della diseguaglianza come differenziale di capacità necessario e propulsivo, in piena consonanza con la retorica aziendalista, viene accolto qua e là sui social network con orrendi peana di soddisfazione.

«Finalmente qualcuno che ha il coraggio di dirlo», leggo a commento di queste bestialità scritte da Gramellini.
Perché la questione è questa: se io che ho una rubrica su un giornale letto da molte persone metto in discussione il diritto di voto e l’eguaglianza, dovrò pur farmi qualche domanda intorno alla mia responsabilità.

È troppo comodo, per la miseria, lamentarsi dell’idiozia delle persone che ci stanno intorno (o addirittura – somma prova di coraggio civile – di coloro che governano il Paese) e non rilevare mai che nella loro ascesa c’è il mio zampino; che c’è lo zampino di chi, nelle redazioni, tace davanti a titoli assurdi, a ricostruzioni non veritiere.

C’è lo zampino di chi lascia parlare Calderoli, Bossi, Brunetta, Bersani, Berlusconi, la Gelmini, la Carfagna, Maroni, Sacconi, Tremonti, Scajola, la Marcegaglia, Montezemolo, Prodi, Monti, Rutelli, Casini, Di Pietro, la Mussolini, senza mai – e dico mai – chiedere loro «mi scusi: ma lei – esattamente – cosa intende dire?».

Eh, no, caro Gramellini che vuoi «figure alla Mario Monti».
Sentiamo un po’, Gramellini: e perché io dovrei essere d’accordo con Mario Monti? Solo perché non si porta ad Arcore le ragazze, solo perché non c’entra con la Mondadori, solo perché è elegante e raffinato e parla a bassa voce, e non è tragicamente cafone come quel pover’uomo che si chiama Silvio?

Dimmi un po’, Gramellini: dovrei essere d’accordo con Monti perché è fottutamente chic?
E dovrei essere d’accordo con te che invochi la dittatura perché quando il tuo e il mio vicino di banco al lavoro facevano gli gnorri di fronte alle stronzate noi siamo stati zitti perché tenevamo famiglia?

Mi son stufata di ripeterlo, ma ogni giorno ne ricevo conferma: quando ci libereremo di Berlusconi sarà peggio, infinitamente peggio di adesso.
A demolire i nostri diritti – e pesantemente, e in nome della finanza, e dell’economia, e dei mercati, e della meritocrazia (ommiodio) – saranno quelli charmant, vestiti bene, ben allevati; quelli che conoscono Sant’Agostino; quelli che se te li porti a cena ti fan fare bella figura perché conoscono la differenza fra il lardo di Colonnata e il formaggio di fossa; quelli che amano lo slow-food e sanno tenere le posate e sbucciano la frutta senza prenderla fra le dita.

E così finirà che pure i simboli dell’alterità ci porteranno via.
Quel po’ di lardo; la pancetta…

Viva la dittatura. Sì, come no.
Chiedo scusa: Gramellini la chiama «megliocrazia».
Che bravo, eh?
Inventa parole bellissime!

(Ciao, Laura. Come va?).