l’ordinanza me la faccio anch’io: vietato ridere

La faccio breve, non ho tanta voglia di inca******: rimando direttamente al pezzo del Corriere che fa il punto sulle ordinanze che i sindaci italiani, in pieno delirio di onnipotenza, hanno firmato perché incredibilmente spinti da un ministro della Repubblica italiana nata dalla Resistenza.

Un’ordinanza, a questo punto, la faccio anch’io, però.
Su queste cose è vietato ridere.
Lo si può fare in privato e a scopo esclusivamente difensivo.
Sostanzialmente per non piangere tre o quattro ore al giorno, ecco.

Ma non è ammissibile fare i «superiori» che ridono su queste ordinanze che stanno facendo carne da macello della legge, del diritto penale, del senso civico, del ruolo istituzionale dei sindaci, dei rapporti fra istituzioni e dei rapporti fra cittadini.
Vietato sorridere di cose che stanno tragicamente privatizzando la legge.
Di provvedimenti che trasformano il cittadino in suddito balbettante perché non può contare su una ragionevole omogeneità e prevedibilità del diritto, dei diritti e dei doveri.

Sedersi su una panchina è illegittimo a Voghera ma a Torino no.
Questo significa essere sottoposti all’arbitrio dei fragilissimi e precari circuiti neuronali dei sindaci.
E di questo, in pubblico, non si può proprio ridere.
Sarebbe una colpevole sottovalutazione, un esercizio supponente di sufficienza, una sorta di lapsus nel quale si comunica di non essere in grado di cogliere i segnali di pericolo, o di credere alla propria possibilità di salvezza perché si è ricchi di famiglia, ipotesi; o si vive altrove.
Una di quelle cose alla Severgnini, per capirci.