brunetta, le leggi, i giornali e la propaganda

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Oggi su Vibrisse, Giulio Mozzi scrive un post che si intitola «Che cosa mi aspetto da un giornale serio».

Contrariamente a ciò che legittimamente ci si potrebbe aspettare, il post non è lungo come un trattatello.

L’argomento è questo, di cui parla Repubblica:

«È stata silenziosamente abrogata con un decreto legge pubblicato l’1 luglio (poi diventato la legge n.102/2009) la normativa ‘antifannulloni’ varata l’anno scorso dal ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta».

Il ministero nega (o, nell’ipotesi minima, smentisce parzialmente), il giornale cita i sindacati che dicono in sostanza «eh, no, capperi: è stra-vero».
E Mozzi si domanda: è troppo chiedere a un giornale di dirmi chi ha ragione? In fondo ci sono le carte che cantano, no? «Insomma», scrive Giulio: «immagino che un ufficio pieno di omini in abito grigio che sanno tutto di leggi e decreti, e che tutto il santo giorno leggono e spulciano e tagliano e incollano, e lavorano per spiegare le cose ai lettori», a Repubblica «ce l’abbiano».

Poco sotto, Mozzi fa ciò che avrebbe dovuto fare un giornale: riporta per esteso i passi da cui si evince con chiarezza che sì, il provvedimento cosiddetto «anti-fannulloni» (mio dio) è stato in parte abrogato.

In realtà, per quanto io ne ho visto, non c’è mai nessun ufficio con omini vestiti di grigio che spulciano leggi, decreti o anche solo delibere di giunta comunale.
Funziona a comunicati e conferenze stampa.
E in effetti un’altra cosa che io mi sono domandata a proposito di questa vicenda è la seguente: come diavolo è possibile che dell’abrogazione (o no, chissà…) di un testo (e che testo) avvenuta quasi tre mesi fa (il 1° luglio), un giornale si renda conto solamente adesso?

Non è un atto d’accusa a se stessi, quello di giornalisti che – dipendenti peraltro da un giornale che si picca d’esser vera opposizione – dicono «ehi, gente, lo sapevate che questo testo è stato silenziosamente abrogato tre mesi fa, mentre noi stavamo a facce ‘na pennica?».

Che poi.
Che cosa significa essere giornale d’opposizione?
Rivendicare a sé lo statuto di «opposizione», se si è un giornale, è come rivendicare – a seconda dei contesti istituzionali, direi – o il minimo sindacale del giornalismo (controllo del potere, e perciò opposizione per definizione, a chiunque e sempre), o il proprio desiderio di costituirsi in partito.

Questo è quel che sta tentando di fare «Il Fatto», titolando la prima pagina con titoli assurdi come quello che ho visto qualche giorno fa (ieri?): «Presidente, non firmi» (mi pare), come se non fosse l’apertura di prima pagina (nella quale dovrebbe stare la più grande notizia del giorno, meglio ancora se ce l’hai solo tu; e non la più grande opinione).

Non è che dico che i giornali politici – meglio: «parte» politica – non abbiano senso.
Ce l’hanno, anche solo perché costruiscono un senso pur vago di appartenenza in tempi in cui far comunità in senso politico è una cosa molto difficile.
Però vorrei che il giornale-parte facesse il suo mestiere sempre, senza addormentarsi per tre mesi quando – secondo la sua logica – i fatti (l’abrogazione del testo cosiddetto anti-fannulloni) gli danno in mano una pistola con cui gambizzare politicamente l’avversario.

Quanto a ciò che (grazie a Isabella Moroni) ha scovato Mozzi – e cioè la prova provata dell’effettiva abrogazione parziale del testo di legge – è chiaro che, se su Repubblica (su quella di carta, dico; perché online avrebbero potuto linkare una spiegazione anche lunga, naturalmente) avessero scritto le esatte parole riportate da Giulio, sarebbe venuto fuori un articolo illeggibile e burocratico.

Il problema, per come la vedo io, è – sì, come dice Isabella commentando il post su Vibrisse – che nessuno è andato a vedere le fonti.
Ma è anche – e questo è infinitamente peggio, purtroppo, per le conseguenze politiche che produce – che nessun giornale è abbastanza autorevole da poter dire venendo considerato attendibile che «questo testo è stato abrogato».

Ci sono persone credibili, certamente.
Ma le loro voci si perdono nel rumore di fondo della propaganda – spesso all’interno dello stesso giornale – di modo che, alla fine, un tipo comune potrà sempre dire (e infatti lo fa) «ah, se Repubblica scrive questa cosa è solo perché vuole sparare addosso a Brunetta».

Anche perché nel frattempo il Giornale potrebbe avere scritto che non è assolutamente vero che quel testo è stato abrogato, e un (altro) tipo qualunque potrebbe dire «ah, ma se il Giornale scrive questa cosa è solo perché deve salvare Brunetta».

Sicché, è come se in tutto questo fosse scomparsa la possibilità di dire la verità.
Io so che «verità» è un concetto filosoficamente molto complicato. Però se una legge è stata o no abrogata è certamente un fatto che può essere definito e descritto secondo le categorie semplificate di vero/falso.
Ma questo, ora, è diventato impossibile.