diavoli delle caverne italiane

Fino a poco fa suonavano le campane.
Poco più di un’ora fa qualcuno sparava colpi di cannone.
Poi c’erano anche le percussioni dei tamburi, sul genere majorettes.
È la rievocazione delle cosiddette Pasque veronesi, ovvero l’insurrezione antinapoleonica, cara ai seguaci della chiesa cattolica preconciliare che per brevità chiamerò volentieri chiesa nera, e perfino ai leghisti, in cerca di un inizio a cui far risalire il seme della maschia progenie locale.
In piazza Bra c’è l’ennesima sagra strapaesana, vènghino siòri vènghino: banchetti di cibi con tettoie di legno chiaro; venditori di cibo vestiti come personaggi di commedie, col fazzoletto al collo e il cappellino da trasmissione gastronomica di tv locale; stand con persone vestite all’antica, bottoni dorati e costumi teatrali.

Piove.

Le campane hanno ricominciato a suonare.
Sapendo perché, mi irritano ancora di più di quanto normalmente le campane non facciano.
Sono il suono più malinconico che mi venga in mente, perfino quando suonano a festa.
Non so a quale ricordo le collego; ma tutte le volte che sento suonare le campane mi vien quasi da piangere.

Son qui a casa mia a riflettere. A domandarmi qual è la decisione giusta, e se in effetti una decisione è possibile, o se invece la risposta non stia nei fatti e l’unico mio sforzo debba essere la fatica di tenere gli occhi aperti per riconoscerla, finalmente, questa risposta.
Ci son cose che vengono meglio se si è ricchi o se si sa rubare.
Non sono ricca, non so rubare.
E non so neanche bene se so ancora sognare, né se sognare abbia senso.

So solo che se avessi molto denaro, la decisione l’avrei già presa, e adesso sarei serena.
È una cosa triste che mi fa arrabbiare.
Tanto più quando penso – qualunquisticamente, d’accordo – che il mio Paese è in mano a chi sa rubare e imbrogliare; e che le campane e gli schioppi delle Pasque veronesi sono il contrassegno culturale di tutto ciò che in questa situazione mi costringe a pormi il problema di dover decidere.

Ancora le campane.
Oscurantismo, feudalesimo, antiegualitarismo, misoginia, antimodernismo, fondamentalismo religioso, fanatismo politico, barbarie ideologica, regressione all’etica della sopraffazione fra cavernicoli, rozzezza e volgarità neanderthaliane.
Se i genitori non pagano, niente scuolabus ai bambini. E se i non paganti sono benestanti, allora apriti cielo: sono «furbetti», hanno i suv, sono bastardi, se almeno fossero poveri allora li si potrebbe capire. Se invece i non paganti son poveri, allora basta col buonismo, i servizi si pagano, se io mando mio figlio al ristorante e poi gli dico di uscire senza pagare voglio vedere cosa dice il ristoratore.

E noi donne.
Noi donne siamo merda senza diritti.
O portatrici di vocazioni ancillari o niente.
Se io devo decidere, e se nella mia decisione c’entra – purtroppo – il denaro, è perché vivo in Italia.

È umiliante.