repetita

Ci son volte che una si rilegge e dice a sé stessa «sì, questa cosa va detta adesso, questo è il momento giusto».
E così, quell’una pensa che forse può anche copiare un vecchio post che ha un suo perché esattamente adesso, mentre in testa le ronzano le questioni relative alle istituzioni, alla democrazia rappresentativa e alla democrazia diretta, a un tipo di giornalismo che diventa sempre più difficile da digerire senza sofferenza…

Ecco qui il vecchio post.

l’authority di barbarella yè-yè

Ero in macchina e m’è capitato di sentire per radio un pezzo della trasmissione di Barbara Palombelli.
L’ospite con la quale parlava era Fiorella Kostoris Padoa Schioppa.
A volte un cognome solo non basta a dire chi siamo.

La FKPS è stata presentata dalla moglie di Francesco Rutelli come «presidente dell’Authority Pari e dispare», come se il comitato presieduto dall’ex moglie dell’ex ministro del governo Prodi fosse un organismo istituzionale dotato di un effettivo potere ispettivo e di sanzione sulle disparità di trattamento fra uomini e donne nel mondo del lavoro.

In realtà, questa che la Palombelli chiama «authority» – se ne legge qualcosa qui – è, regolarmente costituita davanti a un notaio, un’associazione di private cittadine che non ha alcun titolo ad agire in nome e per conto di nessun organo istituzionale.
Possono eventualmente – ma non lo faranno – esercitare un sorta di vigilanza di carattere genericamente politico, e rivendicare a sé la funzione di una lobby informale.

Ma il comitato «Pari e dispare», benché salutato da squilli di trombe e rulli di tamburi, non è in alcun modo assimilabile all’Authority per l’energia, per esempio; o a quella per le telecomunicazioni, entrambe titolate a sanzionare comportamenti ritenuti scorretti dal punto di vista dell’etica del (cosiddetto) mercato, categoria che peraltro mi pare si presti poco a spiegare la complessità delle relazioni fra cosmo femminile e universo lavorativo, a meno che non se ne voglia fare una pura questione quantitativa.

Il fatto che la Palombelli abbia – benché implicitamente – riconosciuto alla sua ospite credenziali di tipo istituzionale è gravemente scorretto, secondo me, tanto dal punto di vista della deontologia professionale giornalistica quanto dal punto di vista politico.
Il fatto che la Kostoris Padoa Schioppa abbia ritenuto di non dover chiarire l’equivoco è per quel che sembra a me ugualmente grave.

Nelle more di ciò che nella mia (preconcetta?) ostilità mi permetto di qualificare come un pretenzioso, compiaciuto e inconcludente cicaleccio salottiero, la KPS diceva che i dati dimostrano che non è vero che il lavoro sia un ostacolo alla maternità, perché – anzi – risulta chiaro che le donne che lavorano hanno più figli di quelle che non lavorano.

Io penso che i dati, in realtà, non dimostrano mai niente, a meno che non siano ideologicamente contestualizzati in un sistema di riferimento.
Il fatto che noi siamo in grado di vedere una stella senza sapere nulla del sistema solare, per dire, non è per noi minimamente informativo né sulla natura di quella stella né su quella del sistema solare, ma testimonia al massimo dell’esistenza di qualcosa che somiglia a una stella.

Così – a parte l’ovvia notazione che per mantenere un figlio servono soldi, e che i soldi si guadagnano lavorando – il fatto di verificare una relazione fra la condizione di lavoratrice e la scelta di diventare madre non ci dice nulla né sul nesso di causalità che fra i due fenomeni eventualmente esiste, né su quanto possa essere in realtà difficile scegliere di diventare madre quando il lavoro sia precario.
E niente dice nemmeno su quanti possano essere gli altri figli a cui rinuncia una donna che lavora, anche a tempo indeterminato.
In altri termini: non sappiamo quanto potere di deterrenza eserciti su ulteriori maternità il fatto di avere un lavoro.

La superficialità di certe prese di posizione che si esibiscono come dati di fatto incontrovertibili sostenuti dalla forza neutra ed esplosiva dei cosiddetti dati mi sembra proprio sconcertante.

Ah. Dimenticavo.
Naturalmente, l’«authority» Pari e dispare propugna e difende la meritocrazia.